Comparso venerdì scorso su Il Mattino, l'interessante articolo che segue - a firma di Vittorio del Tufo- ha attirato la mia attenzione. Avevo voglia di condividere questo insolito ritratto di Napoli, ma non ho trovato traccia dell' articolo sul web. A quanto pare la redazione online del primo quotidiano di Napoli preferisce continuare sull'onda della notizia virale. Ho quindi deciso di digitalizzare il testo e riportarlo sul mio blog. Non per fare audience (in questo angolo sperduto si arriva al massimo a trenta lettori per contenuto); quanto per dare onore alla vera storia di Napoli. Quella delle origini ormai quasi completamente offuscate dal delirio neoborbonico. Una derivazione caliente è forse più suggestiva, ma così si dimentica che l'attuale lungomare «liberato» era di fatto una vasta e paradisiaca tenuta privata, fra le più celebrate dell'antichità. Megaride - dove oggi è ubicato Castel dell'Ovo-, con Posillipo ed Ercolano costituivano una Miami classica nella quale i patrizi e i nuovi ricchi si abbandonavano.
Lucullo scacciò le Sirene e nacque la favola di Megaride
Il Castrum, luogo da mille e una notte tra poeti e grandi abbuffate
Politico di successo. Console. Amico di letterati. Cultore di studi storici e filosofici. Stratega e capo militare di gran fama: fu lui a muovere guerra al feroce Mitridate, nemico giurato di Roma. Stretto collaboratore di Silla che lo nominò tutore dei suoi figli. Uomo di straordinaria ricchezza e «primo tra gli epicurei, abituato a soddisfare ogni capriccio», (così Io «dipinse» Matilde Serao nelle Leggende napoletane). Non si può certo dire che a Lucio Licinio LucuIIo facesse difetto il curriculum. Ma poiché anche i guerrieri e gli epicurei, dopo un po’, si annoiano, l'ex luogotenente di Silla, l’uomo che Cicerone definiva «eccellentissimo», decise di lasciarsi alle spalle la vita pubblica romana e scelse Napoli per costruirvi - nel I secolo avanti Cristo- la propria dimora.
E che dimora: la più sfavillante
e lussureggiante di tutte, un luogo di delizie i cui giardini erano degni di
un imperatore. E la più famosa del Golfo. O quasi: perché qui la disputa si fa
accademica, e gli storici si dividono.
Si poteva competere con una reggia sul mare? E poteva
Lucullo far concorrenza, nella Neapolis che amava vivere «alla greca», con la
magnificenza della grandiosa villa di Vedio Pollione, quella Pausilypon
(tregua al dolore) che avrebbe dato il nome a un'intera collina? Poteva,
evidentemente. E scelse Megaride per mettere a frutto le immense ricchezze
accumulate con le sue vittorie.
Questa è la storia di una villa da favola, il Castrum Lucullanum,
che si estendeva dall’isolotto oggi dominato da Castel dell'Ovo fino al monte
Echia, declinando nella vasta pianura attualmente occupata da piazza Plebiscito
fino a raggiungere il circondario dove oggi sorge il Maschio Angioino. È la
storia di una dimora come mai se n’erano viste prima di allora, circondata dal
mare e dall’ attuale via Chiaia, che era l’ alveo di un antico canale e consentiva
alle acque che scorrevano dal monte di Sant’Elmo di raggiungere, passando
attraverso Pizzofalcone, le famose piscine con le vasche per le murene,
un'altra passione che accomunava Lucullo con lo spietato
Vedio Pollione.
Il
Castrum Lucullanum abbracciava quindi il territorio dell'antica Palepoli, la
città vecchia, da Pizzofalcone al mare. Ma forse più ancora dell’estensione
della dimora, ciò che colpisce è il tesoro d'inestimabile valore che questo
patrizio romano portò a Megaride: immense ricchezze e oggetti d'arte che
Lucullo aveva accumulato dopo la guerra contro Mitridate, quando rimase in
Asia per la riscossione dei tributi dai popoli vinti. Una grandiosa biblioteca
- la più grande del territorio romano- impreziosita da un numero impressionante
di manoscritti, che presto divenne luogo d’incontro di studiosi e letterati;
una raccolta di papiri «ricordata da Cicerone per la sua importanza e il suo
interesse» (Vittorio Glejieses, I Quartieri di Napoli); una ricca collezione
di monete, quadri e sculture, che esponeva nel luogo dove oggi sorge il Castel dell'Ovo affinché tutti ne potessero
godere.
Per
descrivere lo splendore del Castrum, conviene prendere a prestito le parole di
Matilde Serao: «Egli violò la dimora delle ninfe oceaniche, per farsene la
propria dimora; egli volle per sé i prati, i boschetti di rose, i margini che degradavano lievemente nel mare; scacciò le sirene e vi mise
le sue bellissime schiave».
A Lucullo non bastava possedere la più sontuosa villa di Napoli. Volle
organizzarvi danze festose, concerti di tiorbe (strumento musicale a corde
pizzicate appartenente alla famiglia dei liuti), giochi, banchetti e
spettacoli di luminarie. Ma è soprattutto per i pantagruelici pranzi che dava
nella sua dimora che ancora oggi LucuIlo è ricordato: sfarzosi banchetti
duravano giorni, ognuno dei quali costava un patrimonio. Tuttora, per
sottolineare il fasto, l’abbondanza e la raffinatezza di un convito, si usa
dire che è stato un pranzo «luculliano».
Per la
classe dominante, come sottolinea Antonio Ghirelli nella sua Storia di Napoli,
quella era un' epoca di lusso sfrenato. «Oratio elogia la “otiosa"
Neapolis nella quale i patrizi e i nuovi ricchi si abbandonano, tra Posillipo,
Megaride ed Ercolano. Ai margini di questa Miami classica prosperano i commerci
ed i mestieri complementari: architetti, marmisti, fabbri, tessili,
profumieri, orefici guadagnano fortune».
Cosa
resta, oggi, di queste leggende? Ben poco, purtroppo. Alla morte di LucuIlo,
furono nominati curatori dei suoi beni Cicerone e Catone, «ma nei secoli seguenti
la ricca dimora fu messa a sacco da vandali e ostrogoti e poi nel quinto secolo,
tra i suoi ruderi, trovarono rifugio alcuni eremiti» (Glejieses, I quartieri
di Napoli). Il resto è storia. Prima che la stupefacente dimora appartenuta a
Lucullo diventasse un cenobio, poi un fortilizio, infine un maniero a picco
sul mare - dove si racconta che fosse custodito l’uovo magico del grande poeta
latino Virgilio- in quel che rimaneva del Castrum Lucullanum
Odoacre tenne
prigioniero l'ultimo imperatore romano d'occidente, il gracile Romolo Augustolo.
Della
villa di Lucullo oggi non restano che dodici colonne romane, il luogo
tuttora più affascinante del Castel dell'Ovo, antica memoria tra le gemme di
Megaride. Quelle colonne «sono lì - racconta Attilio Wanderlingh ne I giorni di
Neapolis- con i loro capitelli in stile dorico e le tipiche scanalature di
qualità ellenica». Miracolosamente sopravvissute alle ingiurie del tempo e alle
devastazioni della Storia.
Vittorio del Tufo
Tratto da Il Mattino del 11 marzo 2016
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