sabato 12 marzo 2016

Napoli - Visita guidata alla Villa di Lucullo (Castel dell'Ovo)


Comparso venerdì scorso su Il Mattino, l'interessante articolo che segue - a firma di Vittorio del Tufo- ha attirato la mia attenzione. Avevo voglia di condividere questo insolito ritratto di Napoli, ma non ho trovato traccia dell' articolo sul web. A quanto pare la redazione online del primo quotidiano di Napoli preferisce continuare sull'onda della notizia virale. Ho quindi deciso di digitalizzare il testo e riportarlo sul mio blog. Non per fare audience (in questo angolo sperduto si arriva al massimo a trenta lettori per contenuto); quanto per dare onore alla vera storia di Napoli. Quella delle origini ormai quasi completamente offuscate dal delirio neoborbonico. Una derivazione caliente è forse più suggestiva, ma così si dimentica che l'attuale lungomare «liberato» era di fatto una vasta e paradisiaca tenuta privata, fra le più celebrate dell'antichità. Megaride - dove oggi è ubicato Castel dell'Ovo-, con Posillipo ed Ercolano costituivano una Miami classica nel­la quale i patrizi e i nuovi ricchi si abbandonavano.

'A Bbersagliera.

Lucullo scacciò le Sirene e nacque la favola di Megaride

Il Castrum, luogo da mille e una notte tra poeti e grandi abbuffate

Politico di successo. Console. Amico di letterati. Cultore di studi storici e filosofici. Stratega e capo militare di gran fama: fu lui a muovere guerra al feroce Mitri­date, nemico giurato di Roma. Stretto collaboratore di Silla che lo nominò tutore dei suoi figli. Uomo di straordinaria ricchezza e «primo tra gli epicurei, abituato a soddisfare ogni capriccio», (co­sì Io «dipinse» Matilde Serao nel­le Leggende napoletane). Non si può certo dire che a Lucio Licinio LucuIIo facesse difetto il curriculum. Ma poiché anche i guerrieri e gli epicurei, dopo un po’, si annoiano, l'ex luogotenente di Si­lla, l’uomo che Cicerone definiva «eccellentissimo», decise di la­sciarsi alle spalle la vita pubblica romana e scelse Napoli per co­struirvi - nel I secolo avanti Cristo- la propria dimora.
E che dimora: la più sfavillante e lussureggiante di tutte, un luo­go di delizie i cui giardini erano degni di un imperatore. E la più famosa del Golfo. O quasi: per­ché qui la disputa si fa accademi­ca, e gli storici si dividono.

Si poteva competere con una reggia sul mare? E po­teva Lucullo far concorren­za, nella Neapolis che amava vivere «alla greca», con la magnificenza della grandio­sa villa di Vedio Pollione, quella Pausilypon (tregua al dolore) che avrebbe dato il nome a un'intera collina? Poteva, evidentemente. E scelse Megaride per met­tere a frutto le immense ric­chezze accu­mulate con le sue vittorie.

Questa è la storia di una villa da favola, il Castrum Lucullanum, che si estendeva dall’isolotto oggi do­minato da Castel dell'Ovo fino al monte Echia, declinando nella vasta pianura attualmente occupata da piazza Plebiscito fino a raggiungere il circondario dove oggi sorge il Maschio Angioino. È la storia di una dimora come mai se n’erano viste prima di allora, circondata dal mare e dall’ attua­le via Chiaia, che era l’ alveo di un antico canale e consentiva alle ac­que che scorrevano dal monte di Sant’Elmo di raggiungere, passando attraverso Pizzofalcone, le famose piscine con le vasche per le murene, un'altra passione che accomunava Lucullo con lo spietato Vedio Pollione.

Il Castrum Lucullanum ab­bracciava quindi il territorio dell'antica Palepoli, la città vecchia, da Pizzofalcone al mare. Ma forse più ancora dell’estensio­ne della dimora, ciò che colpisce è il tesoro d'inestimabile valore che questo patrizio romano por­tò a Megaride: immense ricchez­ze e oggetti d'arte che Lucullo aveva accumulato dopo la guerra contro Mitridate, quando ri­mase in Asia per la riscossione dei tributi dai popoli vinti. Una grandiosa biblioteca - la più gran­de del territorio romano- impre­ziosita da un numero impressio­nante di manoscritti, che presto divenne luogo d’incontro di stu­diosi e letterati; una raccolta di papiri «ricordata da Cicerone per la sua importanza e il suo interesse» (Vittorio Glejieses, I Quartieri di Napoli); una ricca collezione di monete, quadri e sculture, che esponeva nel luogo dove oggi sor­ge il Castel dell'Ovo affinché tutti ne potessero godere.

Per descrivere lo splendore del Castrum, conviene prendere a prestito le parole di Matilde Serao: «Egli violò la dimora delle ninfe oceaniche, per farsene la propria dimora; egli volle per sé i prati, i boschetti di rose, i margini che degradavano lievemente nel mare; scacciò le sirene e vi mise le sue bellissime schiave».

A Lucullo non bastava posse­dere la più sontuosa villa di Napo­li. Volle organizzarvi danze festo­se, concerti di tiorbe (strumento musicale a corde pizzicate appar­tenente alla famiglia dei liuti), giochi, banchetti e spettacoli di luminarie. Ma è soprattutto per i pantagruelici pranzi che dava nella sua dimora che ancora oggi LucuIlo è ricordato: sfarzosi ban­chetti duravano giorni, ognu­no dei quali costava un patrimonio. Tuttora, per sottolineare il fasto, l’abbondanza e la raffinatez­za di un convito, si usa dire che è stato un pranzo «luculliano».

Per la classe dominante, come sottolinea Antonio Ghirelli nella sua Storia di Napoli, quella era un' epoca di lusso sfrenato. «Oratio elogia la “otiosa" Neapolis nel­la quale i patrizi e i nuovi ricchi si abbandonano, tra Posillipo, Megaride ed Ercolano. Ai margini di questa Miami classica prosperano i commerci ed i mestieri com­plementari: architetti, marmisti, fabbri, tessili, profumieri, orefici guadagnano fortune».

Cosa resta, oggi, di queste leg­gende? Ben poco, purtroppo. Al­la morte di LucuIlo, furono nominati curatori dei suoi beni Cicero­ne e Catone, «ma nei secoli se­guenti la ricca dimora fu messa a sacco da vandali e ostrogoti e poi nel quinto secolo, tra i suoi rude­ri, trovarono rifugio alcuni eremiti» (Glejieses, I quartieri di Napo­li). Il resto è storia. Prima che la stupefacente dimora appartenuta a Lucullo diventasse un ceno­bio, poi un fortilizio, infine un maniero a picco sul mare - dove si racconta che fosse custodito l’uovo magico del grande poeta latino Virgilio- in quel che rima­neva del Castrum Lucullanum Odoacre ten­ne prigioniero l'ultimo imperatore romano d'occiden­te, il gracile Romolo Augustolo.

Della villa di Lucullo oggi non restano che do­dici colonne romane, il luogo tuttora più affascinante del Castel dell'Ovo, antica memoria tra le gemme di Megaride. Quelle colonne «sono lì - racconta Attilio Wanderlingh ne I giorni di Neapolis- con i loro capitelli in stile dorico e le tipiche scanalature di qualità ellenica». Miracolosamente sopravvissute alle ingiurie del tempo e alle devastazioni della Storia.

Vittorio del Tufo
Tratto da Il Mattino del 11 marzo 2016

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